Commento a Tesoro, faccio tardi in ufficio

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Venerdì 1 marzo si è tenuta una conferenza interessantissima alla facoltà di Economia di Torino.
Il tema era “Cercare lavoro in Europa”.


Sottolineo l’efficacia del set di conferenze cui è dedicato anche un sito internet [tesoroparliamone.wordpress.com] e la declinazione di ogni incontro usando sempre la parola Tesoro. Questo era “Tesoro, faccio tardi in ufficio”.


La platea giovanile è piena di studenti di eco.
I relatori sono tutti di prestigio: Tito Boeri, prof. di economia del lavoro all’Università Bocconi, Marco Cantamessa, presidente Incubatore Imprese Innovative del Politecnico di Torino, Alberto Piccinini, avvocato giuslavorista presso la consulta giuridica nazionale CGIL-FIOM ed Enrico Rosso, rappresentante della Camera di Commercio Americana in Piemonte.


Innanzitutto complimenti ai ragazzi dell’assemblea di economia che hanno presentato ogni intervento con qualche dato statistico, riferimento ad articoli di giornali, con un contradditorio che portava sempre a domande non scontate.


Per ogni risposta ammessi solo 4 minuti ed alla fine un ciclo di domande del pubblico.


Tristemente, se già non lo sapessimo, apprendiamo che la disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto quasi il 40% e che adesso la disoccupazione sembra essere maggiore tra i laureati che tra i diplomati. Anche la percezione del lavoro come precario o flessibile è aumentata, solo il 42% dei lavoratori pensa di avere un lavoro sicuro.


Le domande al prof. Tito Boeri vertono sul tema della flessibilità. In Europa sono già state ralizzate più di 200 riforme per aumentare la flessibilità del lavoro e l’Europa nella lettera della BCE all’Italia chiede al Bel Paese ancora maggiore flessibilità. Boeri ci fa notare che in Italia la flessibilità c’è ed anche molta ma tutta concentrata solo su una certa parte della forza lavoro.
Secondo Boeri una cosa che si potrebbe fare sarebbe garantire il salario minimo garantito, una riforma a costo 0 per lo stato. Se stabilito al giusto livello, migliorebbe lo standard di vita per molti ed aumenterebbe l’occupazione (se però fissato al livello troppo altro, l’effetto sarebbe opposto).


Con Piccinini si parla di EPL (Employment protection legislation), l’indice compreso tra 0 e 6 che indica la protezione dei lavoratori rispetto ai licenziamenti, 0 => minima protezione, 6 => massima protezione. Questi i numeri:
Italia 1,69
Germania 2,85
Francia 2,60
Spagna 2,38
UK 1,17.
Perchè l’Italia ha un indice basso? Perchè c’è la protezione dell’articolo 18 ma essa lascia tutti i lavoratori delle PMI, che in Italia rappresentano la maggior parte della imprese, sprotetti.
Quindi la flessibilità in uscita c’è ma sembra non portare alla diminuzione della disoccupazione ed all’aumento del PIL come teorizzato da molti.
Il quadro che ci delinea l’avvocato è quello in cui il diritto del lavoro ha assunto una posizione difensiva a causa del mercato che impone perentoriamente le proprie regole.
A Piccinini viene anche domandato perchè non si lavori per forme di FlexSecurity in cui ad essere difesa è la continuità del lavoro e del reddito, e non il posto di lavoro presso una certa azienda, e la risposta è che la flexsecurity è un riforma non a costo 0 e che per attuarla servono anche altri interventi.


Ad Enrico Rosso, rappresentante della Camera di Commercio Americana in Piemonte, viene chiesta la differenza tra il mondo imprenditoriale italiano e quello USA citando il caso della proposta del ministro Passera di sgravi alle imprese che era stata rifiutata da Confindustria. Rosso ci fa notare che in Cina i lavoratori lavorano anche sabati e domeniche, o senza orari e senza vedere le famiglie e che in USA quando un’azienda va male i manager si prendono il loro scatolone come nei film e traslocano di ufficio alla ricerca di un altro lavoro.
Insomma il concetto è che da noi, secondo Rosso, serve più apertura culturale e flessibilità mentale e c’è anche troppa scollamento tra scuola ed imprese.


Per ultimo l’intervendo di Marco Cantamessa sul costo del lavoro. Secondo i dati Ocse, l’Italia è al secondo posto dopo la Francia per i contribuiti versati dal datore di lavoro per ogni dipendente.
La domanda che gli viene rivolta è quale sia la tassa più odiosa per chi fa impresa in Italia e quale stato europeo sia adesso migliore per aprire delle startup in Europa. Alla prima domanda inizialmente accenna all’IRAP, ma poi dice che la tassa più alta è vivere in un sistema paese dove il sistema istituzionale non favorisce le imprese e dove il sistema giudiziario ha tempi troppo lunghi.
Come paesi per aprire startup qualche anno fa andavano di più Spagna e Francia, ma ora la Germania.
Secondo Cantamessa, per fare una startup servono:
– un’idea forte ed interessante
– l’idea deve essere rivolta ad un mercato in crecita
– un team imprenditoriale dotato di forza ed ambizione

insomma quello che dico sempre anche io: cose nuove su radici vecchie.
Sembrano avere più chanches le imprese che portano tecnologie innovative sul tessuto manifatturiero italiano.


Le domande del pubblico non si fanno attendere ed alcune son anche spiritose, ne cito una “ma se il lavoro è un diritto, a quale tribunale mi devo rivolegere?” …
La sentenza è rimandata! Alla prossima puntata! 🙂


Pensieri e parole:
Un incontro davvero interessante per un problema che ormai è over-generazionale. Il pubblico era formato da giovani ma poteva benissimo essere costituito da cinquantenni qualificati rimasti a piedi. Insomma, figli, genitori e forse anche nonni?
Come riciclarsi?
Se volete commentate … ci farebbe piacere.


scritto da Monica Cordola